Aggiornamento Normativo e Giurisprudenziale 28/2013
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Lingua |
Italiano
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Data di pubblicazione |
06/12/2013
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AGGIORNAMENTO NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE 28/2013
SOMMARIO
1. D.L. n. 179/2012 art 15: Obbligo per i professionisti di accettare pagamenti effettuati con carte di debito.
2. Risoluzione n. 82/2013 dell’Agenzia delle Entrate sulla solidarietà passiva delle “parti in causa” per l’imposta di registro sugli atti giudiziari in caso di litisconsorzio facoltativo.
3. Cassazione, Sezione Prima, 11 novembre 2013, 25846
TRASFORMAZIONE DI SAS IN SRL: RESPONSABILITA’ DEL SOCIO ACCOMANDATARIO E DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
4. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 20 novembre 2013, n. 27
VIOLAZIONE DELLA REGOLA DELL’ANONIMATO DEI PARTECIPANTI AI CONCORSI PUBBLICI NELLE PROVE A RISPOSTA MULTIPLA
5. Cassazione, Sezione Terza, 29 novembre 2013, 26780
LOCAZIONE: VALORE DELLA CLAUSOLA DESCRIVENTE LO STATO DEL BENE
6. Cassazione, Sezione Lavoro, 27 novembre 2013, n. 26522
ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE: ILLEGITTIMA LA COMPARTECIPAZIONE DELL’ASSOCIATO CALCOLATA UNICAMENTE SUI RICAVI
1. D.L. n. 179/2012 art 15: Obbligo per i professionisti di accettare pagamenti effettuati con carte di debito.
L’art. 15 del D.L. 179/2012 ha previsto che i soggetti che effettuano attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti, a far data dal 1° gennaio 2014, ad accettare pagamenti effettuati con carte di debito.
Conseguenza della citata disposizione è che a partire dal prossimo 1° gennaio i professionisti dovranno dotarsi di terminali abilitati al pagamento elettronico (i c.d. POS: point of sale) in modo da garantire la possibilità, ai clienti che lo desiderino, di effettuare pagamenti con il bancomat.
Nonostante l’entrata in vigore della norma sia ormai vicina, manca ancora il decreto interministeriale con il quale il Governo avrebbe dovuto disciplinare eventuali importi minimi, modalità e termini attuativi, nonché l’estensione dell’obbligo ad eventuali altri mezzi di pagamento.
Si segnala infine come la norma in commento sia in pratica priva di ogni efficacia coercitiva, non essendo stata prevista alcuna sanzione per il professionista che alla data stabilita non si sia dotato di POS e non sia, dunque, in grado di accettare pagamenti in formato elettronico.
2. Risoluzione n. 82/2013 dell’Agenzia delle Entrate sulla solidarietà passiva delle “parti in causa” per l’imposta di registro sugli atti giudiziari in caso di litisconsorzio facoltativo.
Con la risoluzione dello scorso 21 novembre l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata sull’applicazione del principio della solidarietà passiva per l’imposta dovuta in conseguenza della registrazione di atti giudiziari con riferimento al caso di soggetti intervenuti volontariamente in giudizio ai sensi dell’art. 105 c.p.c.
Sul punto era già intervenuta la Corte Costituzionale[1], la quale aveva affermato che per la registrazione degli atti giudiziari, l’imposta non deve gravare indiscriminatamente su tutti i soggetti che hanno preso parte al procedimento in quanto, tale partecipazione, non è di per sé indice di capacità contributiva. La capacità contributiva è, al contrario, evincibile dal rapporto sostanziale che in giudizio le parti principali hanno inteso far valere, con la conseguenza che il presupposto della solidarietà nell’assoggettamento all’imposta di registro non va individuato nella situazione meramente processuale, ma nel rapporto considerato in sentenza.
L’agenzia riprende quanto affermato dal giudice delle leggi e ribadisce come il principio della solidarietà passiva prevista per il pagamento dell’imposta dovuta per la registrazione della sentenza non possa essere esteso agli intervenuti volontari rimasti estranei al giudicato, ma riguardi esclusivamente attore e convenuto in quanto il rapporto sostanziale di cui si discute nel procedimento, coinvolgendo unicamente le parti principali, non può comportare l’insorgere di obblighi tributari a carico da chi, intervenuto volontariamente nel procedimento, sia oggettivamente rimasto estraneo al giudicato ed ai suoi effetti.
3. Cassazione, Sezione Prima, 11 novembre 2013, 25846
TRASFORMAZIONE DI SAS IN SRL: RESPONSABILITA’ DEL SOCIO ACCOMANDATARIO E DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
Con la sentenza che si segnala la Corte di Cassazione si pronuncia in merito alla questione della responsabilità patrimoniale del socio accomandatario, trascorso un anno dalla trasformazione della società in accomandita semplice in società a responsabilità limitata, e su quella relativa alla possibilità che tale socio possa essere dichiarato fallito.
I giudici di legittimità, in motivazione, chiariscono che con riferimento all’ipotesi di trasformazione di una s.a.s. in una s.r.l., in mancanza del consenso anche presunto dei creditori alla trasformazione della società, il socio illimitatamente responsabile della prima non è liberato dalle obbligazioni sociali contratte sino al momento della trasformazione e continua a risponderne illimitatamente. La responsabilità illimitata del socio, tuttavia, non opera oltre in quanto per le obbligazioni sociali assunte dalla s.r.l. risponde solo questa esclusivamente con il suo patrimonio.
Una volta, quindi, avvenuta la trasformazione, deve applicarsi l’art. 147, secondo comma L.F. per cui il socio in precedenza illimitatamente responsabile può essere dichiarato fallito solo entro il termine di un anno dalla data di iscrizione della trasformazione dal registro delle imprese.
4. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 20 novembre 2013, n. 27
VIOLAZIONE DELLA REGOLA DELL’ANONIMATO DEI PARTECIPANTI AI CONCORSI PUBBLICI NELLE PROVE A RISPOSTA MULTIPLA
Il Consiglio di Stato è intervenuto, in tema di concorsi pubblici giudicando il ricorso di due studenti non ammessi alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Messina, i quali hanno dedotto, a sostegno delle proprie doglianze, la violazione della regola dell’anonimato da parte della Commissione esaminatrice.
Nel caso di specie, infatti, all’elenco nominativo dei partecipanti alla selezione è stato abbinato, già in occasione dell’esecuzione della prova d’esame, il codice numerico contrassegnante l’elaborato di ciascun candidato ed alla fine della prova il ritiro degli elaborati stessi ed il loro posizionamento negli appositi contenitori è avvenuto seguendo rigorosamente l’ordine alfabetico dei candidati, consentendo sin da subito l’individuazione dell’autore di ciascun test.
Nell’affrontare la questione i giudici ricordano come, nella maggior parte dei casi il problema della violazione della regola dell’anonimato si ponga, più che altro, dalla parte dei candidati, i quali inseriscono segni di riconoscimento nei propri elaborati che, di conseguenza, devono essere annullati.
Perché si possa invalidare un elaborato è però necessario che la riconoscibilità sia stata determinata da un’azione intenzionale del candidato. Tale intenzionalità può essere desunta dallo stesso segno di riconoscimento, grazie alla sua capacità di riferire il singolo elaborato ad un determinato soggetto.
Nel caso opposto, in cui invece a violare la regola dell’anonimato sia l’Amministrazione, l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario ritiene che la violazione vada ad inficiare di per sé la procedura selettiva, senza che sia necessario, ogni volta, ricostruire il percorso di riconoscimento degli autori degli elaborati da parte dei soggetti incaricati della valutazione.
Tuttavia, nell’ipotesi di un concorso la cui prova, come nel caso in esame, consista nella soluzione di quesiti a risposta multipla la cui correzione non comporti discrezionalità valutativa, parte della giurisprudenza ritiene che la violazione della regola dell’anonimato sia irrilevante quando non sia data la prova che detta violazione ha comportato un esito della prova differente da quello che si sarebbe, altrimenti, in concreto prodotto, essendo necessaria l’indicazione di precisi elementi da cui desumere una concreta lesione della par condicio tra i candidati.
L’orientamento appena illustrato viene, però, disatteso nella pronuncia in commento ove i componenti dell’Adunanza Plenaria sanciscono che il criterio dell’anonimato nelle selezioni concorsuali costituisce applicazione dei principi costituzionali di uguaglianza, buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione.
Il criterio summenzionato ha dunque valenza generale ed incondizionata e la sua violazione, attraverso l’inosservanza di vincolanti regole comportamentali, dà luogo ad una illegittimità insanabile in quanto determinata da una condotta di per se stessa considerabile come offensiva ed idonea porre in pericolo o minacciare i richiamati principi costituzionali.[2]
Sulla scorta di tali osservazioni i giudici, nell’accogliere il ricorso degli studenti non ammessi al corso, hanno pronunciato il seguente principio di diritto “ Nelle prove scritte dei pubblici concorsi o delle pubbliche selezioni di stampo comparativo una violazione non irrilevante della regola dell’anonimato da parte della Commissione determina de iure la radicale invalidità della graduatoria finale, senza necessità di accertare in concreto l’effettiva lesione dell’imparzialità in sede di correzione”.
5. Cassazione, Sezione Terza, 29 novembre 2013, 26780
LOCAZIONE: VALORE DELLA CLAUSOLA DESCRIVENTE LO STATO DEL BENE
Con la sentenza che si segnala la Corte di Cassazione interviene sul tema delle locazioni e si pronuncia sul valore confessorio o meno da attribuire alla dichiarazione secondo cui i locali concessi in locazione sono esenti da vizi ed in buono stato locativo.
I giudici di legittimità confermano che la dichiarazione di cui sopra sia con ogni evidenza una dichiarazione di natura confessoria e non possa essere considerata una mera dichiarazione di stile, ma debba essere ricondotta nell’ambito delle dichiarazioni descrittive del bene locato di cui all’art. 1590 c.c.: la corte precisa, infatti, che “ alla c.d. “descrizione” dell’immobile locato effettuata in contratto (art. 1590, secondo comma, cod. civ.), alla quale pure autorevole dottrina assegna la qualificazione di reciproca confessione tra le parti circa il suo contenuto ricognitivo, non può che essere attribuito valore probatorio preminente, dato che lo scopo di essa è quello di precostituzione della prova in ordine alla qualità, alla quantità ed allo stato dei beni concessi in godimento, proprio per consentire al conduttore, nel corso del rapporto, la portata esatta del dovere di diligenza, che deve osservare nell’uso del bene locato, e per evitare, all’esito della cessazione della locazione, contestazioni in ordine al contenuto della prestazione di restituzione dovuta dal conduttore stesso”.
6. Cassazione, Sezione Lavoro, 27 novembre 2013, n. 26522
ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE: ILLEGITTIMA LA COMPARTECIPAZIONE DELL’ASSOCIATO CALCOLATA UNICAMENTE SUI RICAVI
Intervenendo in tema di associazione in partecipazione, la Cassazione ribadisce che, nel caso di apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato, l’elemento che consente di distinguere tale rapporto dal lavoro subordinato è costituito dall’accordo alla luce del quale occorre verificare la partecipazione dell’associato non solo agli utili dell’impresa, ma anche alle perdite.
Qualora infatti vi sia uno stabile inserimento nell’organizzazione aziendale, senza che però vi sia partecipazione al rischio di impresa, (come nel caso in cui la compartecipazione sia calcolata sui ricavi, senza tenere in considerazione l’incidenza delle spese e di tutto ciò che concerne la gestione dell’impresa) il rapporto non può che essere riqualificato come contratto di lavoro subordinato.
[1] Si vedano le seguenti pronunce: ordinanza n. 215/2000 e le sentenze nn. 226/1984, 178/1982 e 120/1972.
[2] Nella sentenza viene, in particolare, precisato che “la violazione dell’anonimato da parte della Commissione nei pubblici concorsi comporta una illegittimità da pericolo c.d. astratto (cfr. in termini VI sez. n. 3747/2013 citata) e cioè un vizio derivante da una violazione della presupposta norma d’azione irrimediabilmente sanzionato dall’ordinamento in via presuntiva, senza necessità di accertare l’effettiva lesione dell’imparzialità in sede di correzione”.