Aggiornamento Normativo e Giurisprudenziale 7/2014
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Lingua |
Italiano
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Data di pubblicazione |
26/06/2014
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AGGIORNAMENTO NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE 7/2014
SOMMARIO
1. Indicazioni del Ministro della Giustizia in materia di Processo Civile Telematico
2. Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 91: Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea. – Modifiche alla disciplina delle Società per Azioni
3. Cassazione, Sezione Prima, sentenza 3 giugno 2014, n. 12370
Cessione di quote societarie: la violazione del patto di prelazione non dà diritto a riscattare le quote
4. Tribunale di Roma, sezione XIII, sentenza 29 maggio 2014 n. 14521-11
Sanzionabilità del rigetto della proposta di conciliazione del giudice e della ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione demandata
5. Cassazione, Sezione Prima, sentenza 23 maggio 2014, n. 11497
Il sindacato del giudice sulla fattibilità del piano concordatario
1. Indicazioni del Ministro della Giustizia in materia di Processo Civile Telematico
In vista della partenza, il prossimo 30 giugno, del Processo Civile Telematico, il Ministro della Giustizia ha provveduto ad emanare una serie di indicazioni, raccolte nel decreto sulla riforma della Pubblica Amministrazione, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 giugno scorso, relative alle tempistiche con cui il nuovo modello di processo entrerà a regime.
In particolare, le indicazioni fornite dal Ministero della Giustizia prevedono che l’obbligo di deposito telematico degli atti endoprocessuali diventi obbligatorio, a far data dal 30 giugno prossimo, esclusivamente con riferimento ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Per tutte le altre cause, il deposito telematico sarà una facoltà, ma solo fino al 31 dicembre prossimo, data entro cui il deposito a mezzo PEC sarà obbligatorio per tutti.
Il decreto legge rafforza, inoltre, i compiti degli avvocati i quali potranno autenticare le copie degli atti depositati per via telematica. Viene prevista, poi, l’abolizione della necessità dell’autorizzazione del Consiglio dell’Ordine per le notifiche via PEC da parte degli avvocati né sarà più necessaria la marca bollo per tali tipi di notifiche.
Per sopperire alle minori entrate che conseguiranno all’entrata in vigore del provvedimento, si prevede un nuovo aumento del contributo unificato pari a circa il 15%, come illustrato dal seguente schema:
Valore della causa
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Vecchio importo CU
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Nuovo importo CU
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Fino a € 1.100,00
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€ 37,00
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€ 47,00
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Da € 1.100,00 a € 5.200,00
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€ 85,00
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€ 98,00
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Da € 5.200,00 a € 26.000,00
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€ 206,00
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€ 237,00
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Da € 26.000,00 a € 52.000,00
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€450,00
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€ 518,00
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Da € 52.000,00 a € 260.000,00
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€ 660,00
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€ 759,00
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Da € 260.000,00 a € 520.000,00
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€ 1.056,00
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€ 1.214,00
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Oltre 520.000,00
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€ 1.466,00
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€ 1.686,00
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Per consentire una più facile comprensione del percorso di entrata a regime del processo telematico, il Ministero della Giustizia ha predisposto la seguente tabella riassuntiva:
PROCESSO CIVILE TELEMATICO
Tabella riassuntiva indicazioni Ministro della Giustizia Andrea Orlando 11 Giugno 2014
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Entrata in vigore
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Procedimento/Attività
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Fasi processuali
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Obbligatorietà
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Altro
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30 GIUGNO 2014
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Fase monitoria del procedimento di ingiunzione (Artt. 633-642 c.p.c.) con l’esclusione della fase introdotta con l’opposizione di cui agli artt. 645 e ss.
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Ricorso per decreto ingiuntivo
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SI
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Deposito del provvedimento del giudice di accoglimento (decreto ingiuntivo) o di rigetto.
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SI
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30 GIUGNO 2014
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COGNIZIONE
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Deposito atti endoprocessuali
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SI
per le cause instaurate dopo il 30 Giugno 2014
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Facoltativo per le cause instaurate prima del 30 Giugno 2014
Senza bisogno di specifica autorizzazione del Ministro
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30 GIUGNO 2014
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DEPOSITO COPIE CARTACEE DI CORTESIA
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Il giudice può ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche (comma 9, articolo 16 bis, DL 179/2012)
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Protocolli in sede locale Magistratura e Avvocatura in caso di volontà di estensione della ipotesi di cui al comma 9, articolo 16 bis, DL 179/2012)
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La lettera del Guardasigilli non tocca le altre materie disciplinate dall’art. 16 bis, comma 9, del Decreto Legge n. 179/2012, cosiddetto Crescita, come conv. con legge n. 221/2012, al quale si rinvia
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Il Governo è, inoltre, intervenuto sull’organizzazione degli uffici giudiziari, disponendo una riduzione dell’orario minimo di apertura delle cancellerie Tribunali ordinari e Corti d’Appello, portandolo così da cinque a tre ore, al fine di consentire al personale di cancelleria di svolgere le attività connesse al deposito telematico degli atti.
Per quanto concerne il Tribunale di Roma, devono segnalarsi i Protocolli conclusi tra Ordine degli avvocati e Presidenza del Tribunale con i quali è stata prevista una disciplina convenzionale sulle principali modalità organizzative ed operative applicabili al Processo Civile Telematico.
I Protocolli, oltre che sul sito del Tribunale di Roma, sono consultabili attraverso i seguenti link:
DISCIPLINA CONVENZIONALE PCT
DISCIPLINA DECRETI INGIUNTIVI PCT
DISCIPLINA SPECIFICA ESECUZIONE E PROCEDURE CONCORSUALI
DISCIPLINA SPECIFICA RITO LAVORO PCT
2. Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 91: Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea. – Modifiche alla disciplina delle Società per Azioni
Attraverso il provvedimento chiamato anche “decreto competitività” il Governo ha apportato importanti modifiche alla disciplina delle Società per Azioni.
Innanzitutto è stato modificato l’art. 2327 c.c. nella parte in cui fissa il capitale sociale necessario per la costituzione di una S.p.A. in una somma non inferiore ad euro 120.000,00, riducendola sensibilmente e portandola ad euro 50.000,00.
L’intervento legislativo ha, dunque, investito anche l’art. 2477 c.c. con l’abrogazione del suo secondo comma che obbligava le S.r.l. con capitale sociale non inferiore a quello minimo stabilito per le S.p.A. alla nomina dell’organo di controllo. Tale abrogazione è intervenuta, si legge nella relazione illustrativa, “per motivi sistematici e in un’ottica di semplificazione e di riduzione dei costi per le piccole e medie imprese”: se, infatti, fosse sopravvissuto l’obbligo di nomina dell’organo di controllo, numerose S.r.l. costituite con capitale inferiore al vecchio limite di 120.000 euro ma pari o superiore a 50.000,00, avrebbero dovuto dotarsi di un organo di controllo.
Per quanto concerne le S.r.l. aventi capitale sociale pari o superiore al minimo precedentemente previsto per le S.p.A., il decreto legge nulla dice circa la modalità con cui è consentita la revoca degli organi di controllo, non essendo chiaro se la decisione dei soci di sopprimere tali organi abbia efficacia dichiarativa, possa essere considerata causa di decadenza o di revoca, lasciando dunque presumere che l’organo di controllo debba rimanere in carica in ogni caso almeno fino a scadenza.[1]
Altra importante novità introdotta dal decreto è quella relativa alla possibilità di prevedere in statuto, in deroga al disposto dell’art. 2351 c.c., che sia attribuito un voto maggiorato, fin ad un massimo di due, per ciascuna azione appartenuta al medesimo soggetto per un periodo non inferiore a due anni.
Gli statuti possono anche prevedere che colui al quale spetta il diritto di voto maggiorato possa in tutto, o in parte, rinunciarvi.
Il diritto al voto maggiorato viene meno in conseguenza di cessione dell’azione sia a titolo gratuito che a titolo oneroso, il privilegio non si perde invece quando si ha successione mortis causa oppure fusione o scissione del titolare delle azioni.
La maggiorazione è altresì estesa alle azioni emesse in conseguenza di aumento di capitale dovuto a nuovi conferimenti o a passaggio di riserve a capitale ai sensi dell’art. 2442 c.c.
La nuova normativa consente che il progetto di fusione o scissione di una società il cui statuto preveda la maggiorazione del voto, può prevedere che il diritto di voto maggiorato spetti anche alle azioni spettanti in cambio di quelle a cui è attribuito il voto maggiorato.
Se lo statuto non dispone diversamente, deve tenersi conto della maggiorazione anche nel computo dei quorum deliberativi e costitutivi.
Viene, poi, specificato che la deliberazione di modifica dello statuto che consenta la maggiorazione del diritto di voto non attribuisce diritto di recesso ai sensi dell’art. 2473 c.c.
Speciali disposizioni sono, infine, previste con riferimento alle società quotate o per le quali sia in corso il procedimento di quotazione.
3. Cassazione, Sezione Prima, sentenza 3 giugno 2014, n. 12370
Cessione di quote societarie: la violazione del patto di prelazione non dà diritto a riscattare le quote
Con la pronuncia che si segnala la Corte di Cassazione interviene sulla tema della tutela prevista dall’ordinamento in caso di violazione del patto prelazione previsto in statuto per la cessione di quote di una S.r.l.
Nel caso esaminato il ricorrente chiedeva gli venisse riconosciuta la possibilità di riscattare le quote cedute a soggetti terzi, facendo valere il principio per cui un simile diritto viene comunemente riconosciuto dal nostro ordinamento in diverse ipotesi di prelazione legale (art. 732 c.c., legge 392/1978, legge 590/1965).
Detto principio, seppur accolto in dottrina, non viene condiviso dai giudici di legittimità i quali giungono a tale conclusione sulla base del testo dell’art. 2479 c.c. che, nella sua formulazione pre-riforma del 2003, prevedeva non il diritto di prelazione, ma consentiva esclusivamente il patto di prelazione.[2]
Il diritto che si assume violato ha dunque esclusivo valore negoziale e pertanto ad esso è possibile garantire una tutela meramente obbligatoria.
Nel caso esaminato la tutela reale, consistente appunto nel diritto di riscatto, non risulta applicabile anche perché non costituisce neppure una ipotesi di tutela generalmente riconosciuta dalla legge, essendo essa applicabile esclusivamente nei casi in cui è esplicitamente prevista dal legislatore, senza che vi sia spazio per l’applicazione analogica di altre norme che, al contrario, espressamente la prevedono.
I giudici di legittimità osservano, inoltre, come la domanda di riscatto formulata da uno solo dei soci sia di per sé contraria alla ratio stessa della clausola di prelazione in quanto “il riscatto esercitato da un solo socio violerebbe nuovamente lo spirito della clausola stessa la quale prevede che tale diritto sia esercitato dai soci tutti ed in proporzione alle rispettive quote in modo da consentire di mantenere invariata la consistenza della propria partecipazione sociale; solo nel caso di rifiuto da parte di uno dei soci entro il limite previsto dallo statuto, gli altri potranno acquistare la quota in proporzione ovviamente maggiore”.
4. Tribunale di Roma, sezione XIII, sentenza 29 maggio 2014 n. 14521-11
Sanzionabilità del rigetto della proposta di conciliazione del giudice e della ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione demandata
La sentenza del Tribunale di Roma che si segnala interviene a conclusione di un procedimento nel quale veniva richiesto un risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e nell’ambito del quale il giudice aveva dapprima formulato una proposta di conciliazione e, conseguentemente al rifiuto di questa, aveva demandato l’esperimento di un procedimento di mediazione ai sensi del D. Lg. n. 28/2010.
Il giudice nel motivare la propria decisione, analizza in maniera approfondita le conseguenze della mancata partecipazione di una delle parti in causa – precisamente la compagnia assicurativa – ritualmente convocata al procedimento di mediazione attivato dall’attore su disposizione del giudice (art. 5, comma secondo, D. Lg. n. 28/2010).
La compagnia assicurativa aveva giustificato la propria decisione di non aderire alla mediazione affermando che al danneggiato era stata già corrisposta una somma a titolo di risarcimento e che la stessa doveva ritenrsi congrua ed adeguata rispetto al danno subito da quest’ultimo.
Tale valutazione viene censurata dal giudicante che, riportando il ragionamento in una sfera più generale e trascendendo dal caso di specie, arriva ad affermare che non costituisce legittima giustificazione alla mancata partecipazione al procedimento di mediazione il ritenere erronea la tesi portata avanti dall’altra parte. Qualora, infatti, una simile teoria dovesse essere considerata corretta, in ogni controversia sussisterebbe un giustificato motivo per non comparire nei procedimenti di mediazione, tenuto conto anche del fatto che ove una parte condividesse la tesi portata avanti dall’altra verrebbe addirittura meno la lite stessa. La mediazione, al contrario, trova il proprio fondamento nell’esistenza di un contrasto di opinioni tra le parti in causa, consistendo il compito del mediatore proprio nell’avvicinare le posizioni delle parti fino a raggiungere un accordo.
La mancata partecipazione al procedimento di mediazione, in una ipotesi come quella ora esaminata, dove non vi è giustificazione per l’atteggiamento non collaborativo della compagnia di assicurazione, costituisce una condotta grave poiché determina l’instaurazione di un procedimento giudiziale, a parere del giudice, del tutto evitabile.
Quanto al valore che ad una simile condotta può essere attribuito ai fini della decisione della causa, il giudice ritiene si debba considerare la condotta in questione suscettibile di valutazione ai sensi dell’art. 116 c.p.c.
In particolare, in sentenza si osserva come la mancata comparizione in mediazione di per sé sola non può costituire argomento sufficiente a rafforzare o ad indebolire una tesi giuridica, dovendo questa essere risolta sempre e solo in punto di diritto, ma costituisce un elemento integrativo, per quanto non decisivo, posto a favore della parte chiamante per l’accertamento e la prova di fatti contro la parte chiamata e non comparsa.
In questo modo, il giudice vede integrate delle prove già acquisite che, nel caso in concreto esaminato, portano a ritenere rafforzata la prova (già piena) della infondatezza della resistenza ad oltranza alle richieste dell’attore portata avanti dall’assicurazione.
Quanto al mancato accoglimento della proposta del giudice formulata ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c.,[3] si osserva che, sebbene il legislatore non abbia approntato un sistema sanzionatorio, è necessario che all’ingiustificato rifiuto della stessa derivino delle conseguenze sia sul piano sostanziale che processuale
Dal punto di vista sostanziale l’ingiustificata accettazione della proposta non può avere dirette conseguenze negative in quanto “dal censurabile atteggiamento (…)della parte declinante non si può far discendere una valutazione giudiziale negativa (del genere: rigetto la domanda o l’eccezione perché hai rifiutato la proposta; salvo la non escludibile applicazione dell’art. 116 c.p.c., quand’anche non espressamente previsto dall’art. 185-bis c.p.c.)”.
Dal punto di vista processuale, la sanzione all’ingiustificata accettazione della proposta potrebbe trovare, invece, fondamento nel disposto dell’art. 96 c.p.c.
Tale norma, infatti, attraverso il disposto di cui al terzo comma, consente la condanna della parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata anche in casi diversi da quelli esemplificati dalla norma e, ad esempio quando la condotta del soccombente sia caratterizzata da colpa semplice oppure lo stesso abbia agito o resistito in giudizio senza usare la normale prudenza. Tale condanna non può essere disposta in ragione della sola soccombenza, ma richiede che la condotta soggettiva sia caratterizzata da imprudenza o colpa.
Il giudice ha, infine, condannato la compagnia assicuratrice al pagamento della somma di cui al terzo comma dell’art. 96 c.p.c., definendo gli elementi attraverso i quali giungere alla sua determinazione, ritenendo che la stessa debba essere rapportata:
“1. allo stato soggettivo del responsabile, perché il dolo e la cosciente volontarietà della condotta censurabile ex art. 96 co. III è più grave della colpa, e vi sono varie gradazioni di dolo e di colpa;
2. alla qualifica ed alle caratteristiche del responsabile, persona fisica o giuridica che sia, ed alla sua maggior o minore capacità anche in termini organizzatvi, di struttura di preparazione, di pervenire a decisioni consapevoli in termini di azione o di resistenza (si tratta di un parametro che riguarda la scusabilità, ove esistente, in misura maggiore o minore della condotta);
3. alla rilevanza delle conseguenze dell’azione o della resistenza. Quanto ciò abbia inciso sulla parte vittoriosa sia dal punto di vista oggettivo che da quello soggettivo, per lo stress, l’agitazione, la preoccupazione, per gli effetti diretti ed indiretti, che secondo id plerumque accidit invadono chi lo patisce;
4. alla forza e al potere economico del responsabile, che secondo le circostanze può risultare avere abusato con la sua azione e la sua resistenza, del giudizio e del modo di gestirlo;
5. alla condotta processuale in corso di causa laddove anche in presenza di possibili segnali avvertitori dell’errore, non abbia manifestato alcuna resipiscenza perseverando con argomenti, istanze, dinieghi errati, fuorvianti e/o non pertinenti alla fattispecie;
6. alla necessità che in relazione alle caratteristiche del soggetto responsabile, costituisca un efficace deterrente ed una sanzione significativa ed avvertibile”.
5. Cassazione, Sezione Prima, sentenza 23 maggio 2014, n. 11497
Il sindacato del giudice sulla fattibilità del piano concordatario
La Cassazione, dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 1521 del 2013, torna a pronunciarsi sul tema del sindacato di fattibilità del piano concordatario.
Nel caso esaminato, i giudici di legittimità censurano la pronuncia della Corte d’Appello di Campobasso per aver sostituito, nell’effettuare il giudizio di fattibilità, le proprie valutazioni a quelle dei creditori.
Il giudizio cui sono chiamati i magistrati non consiste valutazione sulla completezza e congruità logica dell’attestazione del professionista (art. 161, comma 3, L.F.), ma consiste in una valutazione di tipo giuridico che concerne la compatibilità del piano con le norme inderogabili poste dall’ordinamento.
Quanto alla fattibilità del piano da un punto di vista economico, la valutazione interessa la verifica della realizzabilità del piano stesso. Ciò implica delle valutazioni dal carattere prognostico circa la realizzabilità del piano stesso che comporta anche un margine di rischio, l’accettazione del quale non può che essere rimessa ai soli creditori, in accordo con lo spirito fortemente contrattualistico proprio dell’istituto del concordato preventivo.
Secondo le Sezioni Unite, il sindacato del giudice in punto di fattibilità economica interessa esclusivamente la “verifica della sussistenza o meno di una assoluta , manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole (causa in astratto)”.
Nel caso esaminato dalla Corte nella sentenza segnalata, la Corte d’Appello ha giudicato inammissibile il concordato fondando la propria decisione non sull’incompatibilità del piano a norme di legge inderogabili, bensì su ragioni di irrealizzabilità nei fatti del piano presentato, operando una valutazione di preminente competenze dei creditori.
[1] Sul punto Meoli su Eutekne.info scrive “Non è chiaro se la decisione dei soci di sopprimere i controlli abbia una funzione meramente dichiarativa con esclusone di qualsiasi vaglio di legittimità dell’autorità giudiziaria ovvero il solo compito di accertare un effetto giuridico già prodottosi ex lege – e non quello di disporre una revoca – oppure se, come appare preferibile, l’ipotesi in esame non possa essere considerata né causa di decadenza, non rientrando tra quelle tassativamente elencate dal legislatore (art. 2399 c.c.), né giusta causa di revoca da parte dell’assemblea (art. 2400 c.c.), non configurandosi alcun comportamento inadempiente da parte dei sindaci. L’organo di controllo, pertanto, resterebbe in carica fino alla scadenza del mandato.
[2] L’art. 2479 c.c. prevedeva infatti che “ Le quote sono trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo”.
[3] La norma aggiunta dall’art. 76, comma 1, D.L. 21 giugno 2013, n. 69 recita “Il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice”.