Aggiornamento Normativo e Giurisprudenziale 8/2014
Autore |
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Lingua |
Italiano
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Data di pubblicazione |
31/07/2014
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AGGIORNAMENTO NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE 8/2014
SOMMARIO
1. Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90 – Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari.
2. Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 91 – Disposizioni in materia fallimentare: prededucibilità dei crediti
3. Regolamento n. 5 del 16 luglio 2014 del Consiglio Nazionale Forense: Regolamento ai sensi dell’art. 22 L. n. 247/2012 sui corsi per l’iscrizione all’Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori.
4. Tribunale di Parma, sentenza n. 599 del 2014
ammissibilità del divorzio in applicazione di una legge straniera
5. Cassazione, Quinta Sezione Penale, sentenza 18 giugno 2014, n. 26339
responsabilità dei sindaci per concorso nel reato di bancarotta fraudolenta impropria
1. Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90 – Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari.
Con il provvedimento segnalato il Governo interviene sulla pubblica amministrazione, tentandone una prima riorganizzazione.
Tra le principali misure adottate si trova quella attraverso la quale vengono soppresse le sezioni staccate dei Tribunali amministrativi regionali ed il magistrato delle acque per le province venete e di Mantova le cui funzioni sono trasferite al provveditorato alle opere pubbliche competente per territorio.
All’art. 18 del D.L. 90/2014 viene, infatti stabilito che a decorrere dal 1° ottobre 2014 vengono soppresse tutte le sedi staccate di tribunale amministrativo regionale, con l’eccezione della sezione autonoma per la Provincia di Bolzano. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanarsi entro il prossimo 15 settembre, saranno stabilite le modalità di trasferimento del contenzioso pendente nelle sezioni soppresse nonché la gestione delle risorse umane e finanziarie in forza presso il tribunale amministrativo della regione.
Viene poi soppressa l’autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. I compiti e le funzioni esercitati da tale ente vengono ora affidati all’autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza, comunemente chiamata autorità anticorruzione.
Oltre ad esercitare le competenze dell’ente soppresso, l’autorità anticorruzione:
- riceve le segnalazioni di illeciti di cui all’art. 54 bis del D. Lg. n. 165/2001;[1]
- salvo che il fatto non costituisca più grave reato, applica la sanzione amministrativa (da 1.000 a 10.000 euro) nel caso in cui il soggetto obbligato non abbia adottato i piani triennali anticorruzione, di trasparenza o i codici di comportamento.
Viene poi stabilito (art. 229) che i componenti dell’autorità garante della concorrenza e del mercato, della Consob, dell’autorità di regolazione dei trasporti, dell’autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, dell’autorità di garanzia per le comunicazioni, l’autorità garante per la protezione dei dati personali, l’autorità nazionale anticorruzione, della commissione di vigilanza sui fondi pensione e della commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, alla cessazione dell’incarico, non possono, a pena di decadenza, essere nominanti quali componenti di autorità di garanzia nei due anni successivi alla cessazione dell’incarico.
Con particolare riferimento ai componenti ed ai dirigenti della Consob viene, poi, introdotto il divieto per i quattro anni successivi alla cessazione dell’incarico, di intrattenere, direttamente o indirettamente, rapporti di collaborazione, consulenza o di impiego con i soggetti in precedenza regolati.
Tra gli interventi urgenti di semplificazione viene inserita la norma che dispone la riduzione del 50% dell’importo del diritto annuale che le imprese devono versare alle camere di commercio a far data dall’esercizio finanziario successivo all’entrata in vigore del decreto stesso.
2. Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 91 – Disposizioni in materia fallimentare: prededucibilità dei crediti
Il comma 7 dell’art. 22 del citato decreto legge ha abrogato la norma di interpretazione autentica dell’art. 111 della legge fallimentare contenuta nell’art. 11, comma 3 quater, del D.L. 145/2013 e che stabiliva che: “la disposizione di cui all’art. 111, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che i crediti sorti in occasione o in funzione della procedura di concordato preventivo aperta ai sensi dell’art. 161, sesto comma, del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, e successive modificazioni, sono prededucibili alla condizione che la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo del citato articolo 161 siano presentati entro il termine, eventualmente prorogato, fissato dal giudice e che la procedura sia aperta ai sensi dell’articolo 163 del medesimo regio decreto, e successive modificazioni, senza soluzione di continuità rispetto alla presentazione della domanda ai sensi del citato articolo 161, sesto comma”.
La norma abrogata prevedeva, dunque, potessero essere considerati prededucibili i crediti sorti in occasione o in funzione della procedura di concordato preventivo “in bianco” quando:
- la proposta, il piano e la documentazione siano stati presentati nei termini (60-120 giorni, prorogabili, per giustificati motivi di ulteriori 60 giorni);
- la procedura deve essere aperta ai sensi dell’art. 163 L.F., senza soluzione di continuità rispetto alla presentazione della domanda[2].
La ragione della abrogazione operata dal decreto legge 91/2014 risiede nel contrasto esistente tra tale disposizione e gli ultimi interventi in materia di concordato in bianco.
In particolare la disposizione cancellata mancava di ogni coordinamento con quanto previsto dal terzo periodo del settimo comma dell’art. 161 L.F.: tale disposizione, infatti, prevede che godano della prededucibilità i crediti dei terzi sorti per atti legalmente compiuti dal debitore, senza che alcun riferimento venga fatto alla successiva ammissione dello stesso alla procedura. Il beneficio della prededucibilità viene dunque garantito indipendentemente dal rispetto di particolari requisiti, a differenza di quanto disposto con la norma di interpretazione autentica ora abrogata.[3]
3. Regolamento n. 5 del 16 luglio 2014 del Consiglio Nazionale Forense: Regolamento ai sensi dell’art. 22 L. n. 247/2012 sui corsi per l’iscrizione all’Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori.
Il 17 luglio scorso è stato pubblicato sul sito internet del Consiglio Nazionale Forense il regolamento disciplinante i corsi per l’iscrizione all’albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, la cui entrata in vigore è prevista per il prossimo 8 agosto.
Con il regolamento viene istituita la “Scuola superiore dell’Avvocatura” che sarà incaricata di organizzare i corsi abilitanti.
Detti corsi saranno banditi dal CNF che provvederà ad indicare anche i criteri per l’erogazione delle borse di studio messe a disposizione dei partecipanti.
Sono ammessi a partecipare al corso coloro che, iscritti all’Albo degli avvocati, abbiano maturato i seguenti requisiti:
a) iscrizione all’albo da almeno 8 anni;
b) non aver riportato negli ultimi tre anni sanzioni disciplinari definitive interdittive;
c) non essere soggetto, al momento della presentazione della domanda, a sospensione cautelare, e non essere sospeso dall’albo ai sensi dell’art. 20 della legge;
d) di aver svolto effettivamente la professione forense, dimostrando, alternativamente, di:
i. avere patrocinato, negli ultimi quattro anni, almeno dieci giudizi dinanzi ad una Corte d’Appello Civile;
ii. avere patrocinato, negli ultimi quattro anni, almeno venti giudizi dinanzi ad una Corte d’Appello penale;
iii. avere patrocinato, negli ultimi quattro anni, almeno venti giudizi dinanzi alle giurisdizioni amministrative, tributarie e contabili.
In ogni caso l’ammissione al corso è subordinata al superamento di una prova di accesso da svolgersi, in unica data, a Roma.
Detta prova consiste in un test a risposta multipla, comprendente almeno 30 domande di diritto processuale civile, diritto processuale penale e diritto processuale amministrativo. Per il superamento della prova è necessario rispondere correttamente ad almeno 21 domande.
Il corso avrà ad oggetto le seguenti materie:
- diritto processuale civile
- diritto processuale penale
- diritto processuale amministrativo
- diritto e giustizia costituzionale
- diritto dell’Unione europea
Il corso avrà durata trimestrale, per complessive 120 ore, e si svolgerà il venerdì pomeriggio ed il sabato mattina. Sarà suddiviso in due moduli: le prime 60 ore avranno carattere teorico e generale, le restanti 60 ore saranno specialistiche ed avranno ad oggetto, a scelta, il diritto processuale civile, il diritto processuale penale ed il diritto processuale amministrativo.
Per agevolare la partecipazione al corso, una parte, non superiore ad un terzo della durata complessiva del modulo specialistico, potrà tenersi presso gli ordini distrettuali.
La verifica finale di idoneità avrà luogo a Roma, con cadenza annuale alla data stabilita dal CNF.
La verifica consisterà in una prova scritta, avente ad oggetto, a scelta, la redazione di un ricorso per cassazione in materia civile o penale o di un atto di appello al Consiglio di Stato, e in una prova orale sulle materie oggetto del corso, con particolare riferimento alla materia scelta dal candidato nel corso della prova scritta.
Nella sua valutazione la Commissione esaminatrice terrà conto della maturità del candidato, dell’apprendimento delle materie oggetto del corso e dell’effettiva padronanza delle tecniche di redazione degli atti di patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
4. Tribunale di Parma, sentenza n. 599 del 2014
ammissibilità del divorzio in applicazione di una legge straniera
La sentenza che si segnala è relativa alla applicazione nel nostro ordinamento del regolamento UE n. 1259 del 2010 in forza del quale il Tribunale di Parma ha sciolto il matrimonio celebrato tra un cittadino italiano ed una cittadina spagnola, senza aver atteso un periodo di separazione tra i coniugi, applicando la disciplina del paese iberico scelta convenzionalmente dalla coppia per regolare il loro rapporto.[4]
La legge spagnola che, come detto, consente ai coniugi di chiedere direttamente il divorzio, senza necessità di una previa separazione, una volta che siano trascorsi 3 mesi dalla data di celebrazione delle nozze, è applicabile al caso di specie poiché perfettamente compatibile con i principi di ordine pubblico interno italiano: il Tribunale, infatti, “ritiene non appartenente ai principi di ordine pubblico la necessità di un previo periodo di separazione prima della concessione del divorzio (Cfr. Cass. 25 luglio 2006, n. 16978 in tema di riconoscimento di sentenza straniera di divorzio: “… attiene in realtà all’ordine pubblico solo la esigenza che lo scioglimento del matrimonio venga pronunciato solo all’esito di un rigoroso accertamento – condotto nel rispetto dei diritti di difesa delle parti, e sulla base di prove non evidenzianti dolo o collusione delle parti stesse – dell’irrimediabile disfacimento della comunione familiare, il quale ultimo costituisce l’unico inderogabile presupposto delle varie ipotesi di divorzio previste dall’art. 3 della legge n. 898/70”)”.
I giudici emiliani evidenziano, infine, come anche sotto altro aspetto la normativa straniera scelta dai coniugi, attraverso una scrittura privata avente i requisiti di validità di cui all’art. 7 del citato regolamento dell’UE (reputando pertanto non necessaria la forma dell’atto pubblico per tale tipo di convenzione)[5], non sia in contrasto con l’ordine pubblico, essendo infatti necessario, perché vi sia compatibilità, unicamente che la pronuncia di divorzio segua l’accertamento dell’irreparabile venir meno della comunione materiale e spirituale tra i coniugi.
5. Cassazione, Quinta Sezione Penale, sentenza 18 giugno 2014, n. 26339
responsabilità dei sindaci per concorso nel reato di bancarotta fraudolenta impropria
Attraverso la pronuncia che si segnala i giudici della corte di Cassazione hanno fornito alcune precisazioni sul tema della responsabilità, anche penale, dei sindaci per fatti propri degli amministratori quando questi abbiano posto in essere atti configuranti il reato di bancarotta fraudolenta impropria.[6]
La responsabilità dei sindaci risiede nella violazione dei doveri di controllo e vigilanza che la legge impone loro. Tale responsabilità si ravvisa, in genere, a titolo di concorso omissivo ai sensi del secondo comma dell’art. 40 c.p. e, precisamente, proprio sotto il profilo della violazione del dovere di controllo e, dunque, nell’equivalenza che l’ordinamento sancisce tra il non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di non far accadere ed il cagionare l’evento stesso.
Il collegio sindacale, in qualità di organo di controllo, è incaricato del compito di vigilare sull’amministrazione della società, con l’espressa funzione di garantire l’osservanza della legge, il rispetto dell’atto costitutivo e di verificare la regolare tenuta della contabilità.
Data la natura della funzione di controllo esercitata dai sindaci (per cui sono dovute la professionalità e diligenza richieste dalla natura dell’incarico) si ha la possibilità che essi possano essere chiamati a rispondere, a titolo di concorso, dei reati posti in essere da altri soggetti, nella specie dagli amministratori.
L’obbligo di vigilanza e controllo da cui la responsabilità potrebbe originarsi, non si limita alla sola verifica della regolarità contabile, ma si estende alla gestione ed, in particolare, in una verifica circa la compatibilità tra la realtà effettiva e quanto descritto dalla sua rappresentazione contabile, senza sconfinare tuttavia in una censura delle singole scelte imprenditoriali.
Ciò posto, la Corte non ritiene si possa far discendere la responsabilità dei sindaci dalla semplice allegazione del mancato esercizio dei doveri di controllo, ma reputa necessario che sussistano elementi che possano provare la partecipazione degli stessi agli atti degli amministratori o che inducano a ritenere che l’omesso controllo abbia avuto effettiva incidenza causale nel reato commesso da questi ultimi.
Quanto all’elemento soggettivo del reato, lo stesso non può limitarsi alla dimensione colposa: si ritiene, infatti, che possa esservi concorso quando il controllo venga omesso quantomeno con consapevole accettazione del rischio che una simile condotta avrebbe potuto causare la commissione di illiceità da parte degli amministratori, e, dunque, nelle ipotesi in cui potrebbe essere configurabile il dolo eventuale.
Perché possa esservi responsabilità a titolo di concorso in bancarotta fraudolenta, la condotta dei sindaci deve perciò essere improntata non solo a leggerezza, ma deve essere caratterizzata dalla consapevole rinuncia all’assolvimento dei minimi controlli richiesti dalla natura dell’incarico, con preventiva accettazione dei rischi che da ciò possono derivare.
[1] Art. 54-bis D.Lg. 165/2001 (Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti): “1. Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, o all'Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche (ANAC), ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia. 2. Nell'ambito del procedimento disciplinare, l'identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell'addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l'identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato. 3. L'adozione di misure discriminatorie è segnalata al Dipartimento della funzione pubblica, per i provvedimenti di competenza, dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. 4. La denuncia e' sottratta all'accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni”.
[2] vitale, “Nel concordato in bianco, i crediti tornano prededucibili senza condizioni” ne Eutekneinfo – Il Quotidiano del Commercialista.
[4] Art. 5 Regolamento UE 1259/2010: “ Scelta della legge applicabile dalle parti. 1. I coniugi possono designare di comune accordo la legge applicabile al divorzio e alla separazione personale purchè si tratti di una delle seguenti leggi: a) la legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi al momento della conclusione dell’accordo; o b) la legge dello Stato dell’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione dell’accordo; o c) la legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza al momento della conclusione dell’accordo; o d) la legge del foro. 2) Fatto salvo il paragrafo 3, l’accordo che designa la legge applicabile può essere concluso e modificato in qualsiasi momento, ma al più tardi nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale. 3) Ove previsto dalla legge del foro, i coniugi possono del pari designare la legge applicabile nel corso del procedimento dinanzi all’autorità giurisdizionale. In tal caso, quest’ultima mette agli atti tale designazione in conformità della legge del foro”.
[5]Art. 7 Regolamento UE 1259/2010 “ Validità formale – 1. L’accordo di cui all’art. 5, paragrafi 1 e 2 [ossia l’accordo sulla scelta della legge applicabile alla separazione personale e al divorzio] è redatto per iscritto, datato e firmato da entrambi i coniugi. La forma scritta comprende qualsiasi comunicazione elettronica che permetta una registrazione durevole dell’accordo. 2. Tuttavia, se la legge dello Stato membro partecipante in cui entrambi i coniugi hanno la residenza abituale nel momento in cui è concluso l’accordo prevede requisiti di forma supplementari per tali accordi, si applicano tali requisiti. 3. Se, nel momento in cui è concluso l’accordo, la residenza abituale dei coniugi si trova in Stati membri partecipanti diversi e se la legge di tali Stati prevede requisiti di forma differenti, l’accordo è valido, quanto alla forma, se soddisfa i requisiti della legge di uno dei due Stati. 4. Se, nel momento in cui è concluso l’accordo, uno solo dei coniugi ha la residenza in uno Stato membro partecipante e se tale Stato prevede requisiti di forma supplementari per questo tipo di accordo, si applicano tali requisiti.”
[6] Il reato di bancarotta fraudolenta impropria è punito dall’art. 223 della legge Fallimentare, rubricato “Fatti di bancarotta fraudolenta”, il quale dispone che “si applicano le pene stabilite nell’art. 216 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.
Si applica alle persone suddette la pena prevista dal primo comma dell’art. 216, se:
- Hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile.
- Hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società.
Si applica altresì in ogni caso la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 216”.