Aggiornamento Normativo e Giurisprudenziale 1/2015
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Lingua |
Italiano
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Data di pubblicazione |
06/02/2015
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AGGIORNAMENTO NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE 1/2015
SOMMARIO
1. LA NEGOZIAZIONE ASSISTITA
2. PROTOCOLLO D’INTESA E ISTRUZIONI PRATICHE PER IL PERFEZIONAMENTO DELL’ISCRIZIONE A RUOLO ED IL DEPOSITO DI ATTI NELLE PROCEDURE ESECUTIVE MOBILIARI DEL TRIBUNALE DI ROMA
3. Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 12 dicembre 2014, n. 26242
Nullità del contratto e giudicato implicito esterno
4. Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 16 gennaio 2015, n. 642
Ammissibili le motivazioni che riproducono un atto di parte
5. Corte d’Appello di Milano, sezione specializzata in materia di impresa, sentenza 7 gennaio 2015, n. 29
La responsabilità dell’hosting provider per la pubblicazione di contenuti in violazione del diritto d’autore
1. LA NEGOZIAZIONE ASSISTITA
Il prossimo 9 febbraio acquisterà piena efficacia la disciplina sulla negoziazione assistita, regolata dal capo II del D.L. 132/2014, come modificato dalla legge n. 162/2014.
La convenzione di negoziazione assistita, è un accordo mediante il quale le parti convengono d cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole una con controversia con l’assistenza di avvocati.
Si tratta, dunque di una procedura volta a limitare il contenzioso ed il cui esperimento è stato posto dal legislatore come condizione di procedibilità[1] della domanda giudiziale nei seguenti casi:
- controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti;
- controversie in materia di trasporto e sub-trasporto;[2]
- controversie per il pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti i 50.000 euro, fuori dei casi previsti dall’art. 5, comma 1 bis, del D.Lg. 28/2010.
Per tali casi l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice quando rileva che la negoziazione assistita è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza non prima della scadenza del termine di 3 mesi, tempo massimo di durata della procedura di negoziazione assistita. Allo stesso modo provvede quando la negoziazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la comunicazione dell'invito.
A nome dell’art. 2 comma 7 del D.L. 132/2014, l’avvocato deve informare il proprio assistito della possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita, preferibilmente utilizzando un modello di informativa simile a quello comunemente in uso per la mediazione civile.
Qualora l’assistito intenda avvalersi del nuovo strumento di risoluzione delle controversie, l’avvocato deve invitare la controparte a stipulare la convenzione di negoziazione assistita indicando in detto invito l’oggetto della controversia e l’avvertimento che la mancata risposta entro 30 giorni o il suo rifiuto possono essere valutati dal giudice ai fini delle spese di giudizio e di quanto previsto dagli artt. 96 e 642 c.p.c.
L’invito deve essere sottoscritto dalla parte personalmente. L’autenticità di tale sottoscrizione è attestata dal legale.
Dal momento della comunicazione dell’invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero della sottoscrizione della stessa si producono sulla prescrizione gli stessi effetti propri della proposizione della domanda giudiziale. Dalla stessa data è, inoltre impedita, per una sola volta, la decadenza. Se l’invito viene rifiutato o non è accettato nel termine di 30 giorni, la domanda giudiziale deve essere proposta nel termine di decadenza che decorre dalla data del rifiuto o dalla certificazione da parte degli avvocati del mancato raggiungimento di un accordo nell’ambito della procedura di negoziazione.
Qualora l’invito venga accolto, le parti dovranno stipulare la convenzione,[3] ossia un vero e proprio contratto con cui si regolamenta tutta la procedura, nel quale deve essere specificato: i) l’impegno delle parti a cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia, ii) il termine entro il quale la procedura deve essere esperita (non inferiore ad un mese)[4] e iii) l’oggetto della controversia che non può riguardare diritti indisponibili. L’autografia delle sottoscrizioni delle parti in calce alla convenzione sarà attestata dagli avvocati.
L’accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Nel caso in cui debba poi procedersi ad esecuzione forzata, l’art. 5 D.L. 132/2014 rende necessario che l’accordo venga integralmente trascritto nel precetto.
Qualora invece con l’accordo le parti concludano un atto soggetto a trascrizione, sarà necessario che il processo verbale in cui l’accordo stesso è contenuto venga autenticato da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
Nell’ipotesi in cui le parti non raggiungano un accordo, tale circostanza sarà certificata dai legali[5] attraverso una dichiarazione che, ai fini dell’avveramento della condizione di procedibilità della domanda giudiziale, dovrà attestare la motivazione del mancato accordo che potrà consistere in una delle seguenti circostanze:
a) all’invito di una parte non è conseguita l’adesione dell’altra parte entro 30 giorni;
b) all’invito è seguito il rifiuto espresso dell’altra parte entro 30 giorni;
c) nel termine previsto dalla convenzione l’accordo non è stato raggiunto.
La disciplina in materia di negoziazione assistita impone, poi, una serie di obblighi e limitazioni per i difensori i quali, ai sensi dell’art. 11 D.L. 132/2014, non possono essere nominati arbitri ai sensi dell’art. 810 c.p.c. nelle controversie aventi il medesimo oggetto o connesse.
Gli avvocati devono, poi, comportarsi con lealtà e tenere riservate le informazioni ricevute e, infatti, le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso della negoziazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto.
I difensori delle parti e coloro che partecipano al procedimento non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite[6].
La violazione di tali obblighi costituisce per l’avvocato illecito disciplinare.
Gli avvocati che sottoscrivono l’accordo raggiunto dalle parti sono, infine, tenuti a trasmetterne una copia al Consiglio dell’ordine circondariale del luogo dove è stato concluso l’accordo o presso cui è iscritto uno degli avvocati.
Di seguito si riportano un modello di invito alla negoziazione assistita ed un modello di convenzione, entrambi tratti dal volume “La negoziazione assistita da avvocati” di Gianfranco Dosi.
MODELLO DI INVITO A STIPULARE LA CONVENZIONE
Roma, 20 settembre 2014
Gent.ma sig.ra Maria Rossi
Viale Parioli 12
00196 Roma
Raccomandata A/R
Bianchi – Rossi
Gentile signora Rossi
Si è rivolto al mio studio il sig. Mario Bianchi chiedendomi di iniziare la procedura per il recupero dell’importo di euro 23.000,00 per l’organizzazione dei festeggiamenti da Lei organizzati a Cinecittà in occasione della presentazione del Suo libro “cinema e cucina” nel maggio 2014.
Ho informato il mio assistito che in questo casi ai sensi dell’art. 3 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132 è condizione di procedibilità della domanda giudiziale il previo esperimento di un procedimento di negoziazione assistita disciplinato dal predetto decreto legge.
Mi rivolgo pertanto preliminarmente a Lei invitandola a prendere contatto con un Suo legale di fiducia per consentire l’avvio del procedimento di negoziazione in questione.
Mi preme informarLa – ai sensi dell’art. 4 del D.L. sopra richiamato – che la mancata risposta ala presente invito entro trenta giorni dalla ricezione o il rifiuto di aderire al procedimento di negoziazione potrà essere valutato dal giudice ai fini delle spese di giudizio e di quanto previsto negli articoli 96 ( responsabilità aggravata) e 642 (esecuzione provvisoria) del codice di procedura civile.
In attesa di cortese riscontro invio distinti saluti
Sig. Mario Bianchi avv. Gianfranco Dosi
Per autentica della sottoscrizione
Avv. Gianfranco Dosi
MODELLO DI CONVENZIONE DI NEGOZIAZIONE ASSISTIIA
Convenzione di negoziazione assistita dall’avvocato
(art. 3 D.L. 12 settembre 2014, n. 132)
Il giorno 16 ottobre 2014 a roma in via nomentanan 257 nello studio dell’avv. Gianfranco Dosi sono presenti il sig. Mario Bianchi (natoa …. il….. C.F. ……) assistito dall’avv. Gianfranco Dosi (C.F. …..) iscritto all’albo degli avvocati di Roma e la signora Maria Rossi (nata a ….. il …. C.F. ….) assistita dall’Avv. Luisa Spagnolo (C.F. ….) iscritta all’albo degli avvocati di Roma.
Si dà atto che entrambe le parti sono state informate dai rispettivi legali della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita.
Le parti convengono di cooperare in buona fede e lealtà per risolvere in via a michevole la controversi avente ad oggetto: la richiesta del sig. Mario Bianchi di recupero dell’importo di euro 23.000,00 per i festeggiamenti organizzati a Cinecittà dalla signora Maria Rossi in occasione della presentazione del libro “cinema e cucina” nel maggio 2014.
Le parti concordano che la negoziazione dovrà essere ultimata entro e non oltre il 10 gennaio 2015.
Mario Bianchi
Maria Rossi
per autentica della sottoscrizione
avv. Gianfranco Dosi
per autentica della sottoscrizione
avv. Luisa Spagnolo
2. PROTOCOLLO D’INTESA E ISTRUZIONI PRATICHE PER IL PERFEZIONAMENTO DELL’ISCRIZIONE A RUOLO ED IL DEPOSITO DI ATTI NELLE PROCEDURE ESECUTIVE DEL TRIBUNALE DI ROMA.
A seguito della riforma delle procedure esecutive introdotta dal D.L. 132/2014, tutti i pignoramenti (mobiliari, presso terzi e immobiliari) dovranno essere iscritti a ruolo, in modalità telematica, direttamente dall’Avvocato e non più dall’Ufficiale Giudiziario.
Tale modalità operativa è attiva presso il Tribunale di Roma sin dal 11 dicembre 2014, per cui tutti i pignoramenti per i quali è stata richiesta la notifica all’Ufficiale Giudiziario da tale data in poi, dovranno essere iscritti a ruolo secondo il nuovo sistema.
Viste le difficoltà operative registrate nel primo mese di applicazione della nuova modalità di iscrizione, il Presidente della IV sezione esecuzioni mobiliari del Tribunale di Roma, il Presidente del consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma e il Dirigente della Cancelleria sezione IV hanno sottoscritto un protocollo di intesa contente le istruzioni per procedere, dal 21 gennaio 2015, alla iscrizione a ruolo telematica delle procedure esecutive e a tutti gli altri adempimenti del processo esecutivo che ormai devono effettuarsi esclusivamente in via telematica.
Qui di seguito si riportano i link attraverso i quali scaricare le suindicate istruzioni:
iscrizione telematica di un pignoramento mobiliare o presso terzi eseguito successivamente al 11.12.2014
iscrizione telematica di un pignoramento mobiliare o presso terzi eseguito prima dell'11.12.2014
deposito delle le istanze di assegnazione o di vendita in un pignoramento mobiliare o presso terzi
deposito del titolo esecutivo in modalità telematica
deposito delle istanze di rinuncia o di ritiro titoli antecedenti il pagamento del contributo unificato
3. Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 12 dicembre 2014, n. 26242
Nullità del contratto e giudicato implicito esterno
Con la lunga sentenza che si segnala, le Sezioni Unite della Cassazione si sono pronunciate su due questioni, concernenti il rapporto tra le azioni di adempimento, di risoluzione e di annullamento del contratto del contratto ed il rilievo d’ufficio della nullità del negozio stesso.
Con il primo quesito la Cassazione si è pronunciata in merito alle condizioni necessarie perché si formi il c.d. giudicato implicito esterno, indagando anche quale efficacia esso possa avere, con riferimento alla sentenza di rigetto della domanda di risoluzione del contratto, rispetto alla successiva azione di nullità concernente sempre il medesimo negozio.
In sostanza i giudici di legittimità hanno verificato la possibilità che si possa implicitamente formare il giudicato sulla declaratoria di nullità del contratto – sebbene non richiesta dalle parti – nel giudizio che definisce, con reiezione, la domanda di risoluzione del contratto.
Con il secondo questo le Sezioni Unite si sono espresse sul “se la nullità del contratto possa essere rilevata d’ufficio non solo allorché sia stata proposta domanda di adempimento o di risoluzione del contratto ma anche nel caso in cui sia domandato l’annullamento del contratto stesso”.
Dopo aver analizzato approfonditamente il tema della nullità del contratto, le Sezioni Unite giungono ad affermare che il giudice chiamato a pronunciarsi su una impugnativa negoziale ha, in ogni caso, l’obbligo di rilevare le eventuali cause di nullità del contratto.
Una volta rilevata, poi, il giudice ha la facoltà di dichiarare nel provvedimento decisorio sul merito la nullità del negozio[7] e rigettare la domanda originaria - sia essa di adempimento, risoluzione, annullamento o rescissione – specificando che ciò deriva dalla nullità del negozio. In questo modo la decisione così assunta può assumere carattere di giudicato sul punto della nullità negoziale.
Il giudice, invece, deve rigettare la domanda di adempimento, risoluzione, rescissione o annullamento, senza rilevare né dichiarare la nullità del negozio se fonda la propria decisione su di una ragione più liquida:[8] in questo caso, infatti, non essendo stato esaminato il profilo della nullità del negozio, neppure incidentalmente, non vi è alcuna questione sulla nullità, né sul punto può formarsi alcun giudicato.
La dichiarazione di nullità sarà resa nel dispositivo della sentenza, dopo aver indicato la questione come tema di prova, quando essa sia stata oggetto di domanda di accertamento su proposta di una delle parti. In tale ipotesi la dichiarazione avrà effetto di giudicato in assenza di impugnazione.
Se nessuna delle parti, invece, avrà proposto domanda di accertamento della nullità del negozio, detta nullità, rilevata dal giudice ed indicata quale oggetto di prova, sarà dichiarata nella motivazione della sentenza ed acquisterà valore di cosa giudicata in difetto di impugnazione.
Precisa, infine, la corte che, qualora il giudice di primo grado abbia omesso di rilevare la nullità del contratto, questa potrà sempre essere rilevata d’ufficio sia in appello che in cassazione.
Pertanto qualora in primo grado il giudice rilevasse d’ufficio la nullità del negozio, nell’ipotesi in cui una delle parti proponesse domanda di accertamento della nullità e tale domanda venisse accolta, il conseguente accertamento sarebbe idoneo a determinare il giudicato sulla nullità negoziale.
Qualora, invece, a seguito del rilievo officioso del giudice della nullità nessuna parte proponesse domanda di accertamento della stessa, il giudice dovrà rigettare le domande originarie delle parti (non potendo essere pronunciata la risoluzione, l’annullamento o la rescissione di un contratto nullo), dichiarando in motivazione di aver disposto tale rigetto sulla base delle rilevata nullità negoziale. Anche in questo caso la pronuncia del giudice sarebbe idonea alla formazione del giudicato.
Con riferimento alle ipotesi di nullità speciali, quali ad esempio quelle di protezione, si ritiene che, in assenza di domanda di accertamento della parte interessata, il giudice debba decidere nel merito delle domande originarie, senza dichiarare né in motivazione, né in dispositivo la nullità: in questo caso, non essendoci accertamento, non vi è nemmeno questione per ciò che concerne il giudicato su questo aspetto.
Se, invece a seguito di rilevazione del giudice officiosa del giudice le parti non propongono domanda di accertamento della nullità, ma insistono sulle domande originarie ed il giudice si convince sulla base delle prove offerte dalle parti che detta nullità non è sussistente, in sentenza non vi sarà ovviamente dichiarazione della nullità: in questo caso potrà formarsi il giudicato implicito sulla NON NULLITA’ del contratto, la cui validità non potrà più essere contestata dalle parti che non abbiano formulato alcuna domanda incidentale di accertamento della stessa a seguito del rilievo del giudice.
Nell’ipotesi in cui, invece, il giudice non rilevi d’ufficio la nullità del contratto ed accoglie la domanda di adempimento o di risoluzione, rescissione o annullamento, la pronuncia sarà idonea a formare il giudicato implicito sulla nullità del negozio, sempre che la nullità non venga rilevata officiosamente dal giudice d’appello.
Qualora, invece, il giudice, non rilevata la nullità, rigetti la domanda di adempimento o di risoluzione, rescissione o annullamento, potrà formarsi il giudicato implicito sulla validità del negozio, salvo il caso in cui la decisione non risulti fondata su una ragione più “liquida”.[9]
Ci sarà, poi, giudicato implicito sulla non nullità del contratto nei casi in cui il giudice, rigettando la domanda originaria, si pronunci inequivocabilmente in motivazione sulla validità del negozio.
Qualora, infine, il giudice, essendo stato sin dall’origine investito di una domanda sulla nullità negoziale e, non avendo individuato in via officiosa altre cause di nullità del contratto, rigetti la domanda, si avrà un accertamento della non nullità del contratto idoneo a passare in giudicato, cosicché in un altro giudizio non potrà essere dedotta ed accertata una diversa causa di nullità del contratto stesso.
8. Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 16 gennaio 2015, n. 642
Ammissibili le motivazioni che riproducono un atto di parte
Le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi sulla questione relativa alla possibilità di censurare le sentenze la cui motivazione sia costituita esclusivamente dalla mera riproduzione di un atto di parte.
Nel rispondere al quesito posto i giudici di legittimità partono dal presupposto che, non essendoci nella legge alcuna norma che detti una disciplina sul punto, non assume rilievo l’originalità o meno dei contenuti o delle modalità espressive utilizzate dai magistrati nelle loro sentenze con la conseguenza che in esse può essere riportato, ripreso e richiamato – in tutto o anche solo in parte – il contenuto di altre sentenze o atti processuali.
Il codice di rito attualmente in vigore, infatti, non solo non contiene alcuna norma che, con riguardo alla redazione della sentenza, implicitamente o esplicitamente impone al giudice l’originalità dei contenuti, ma non contiene neppure disposizioni che impongano tale originalità per ciò che concerne le modalità espositive.
Il codice richiede espressamente che la motivazione esista, sia chiara, comprensibile e coerente e non vieta che il giudice riporti in sentenza il contenuto di scritti la cui paternità non sia attribuibile all’estensore.
Sebbene la Cassazione abbia censurato alcune pronunce in cui venivano riportati atti di parte, ritenendo di non poter considerare valida motivazione quella che consista nella acritica riproduzione da parte dell’estensore della tesi prospettata da una delle parti,[10] va altresì osservato come, nel complesso, la giurisprudenza di legittimità sul punto si stia orientando nel considerare la validità della motivazione principalmente da un punto di vista funzionale: l’adesione all’obbligo costituzionale della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali andrebbe, infatti, valutato facendo riferimento ai principi di effettività e funzionalità della motivazione stessa, andando al di là di ogni formalismo.
È dunque sufficiente, perché si abbia una motivazione valida, che le decisioni e le ragione poste a sostegno di essa siano attribuibili al giudice, siano corrette, complete ed esposte in maniera chiara, coerente ed esaustiva.
Compito del giudice è, infatti, quello di valutare ciò che , sulla base delle prove addotte e delle argomentazioni spiegate, sia corretto, verificato e meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. Una volta assunta la decisione, il giudice può esporre le ragioni che la giustificano con le modalità che ritiene più opportune e, dunque, anche attraverso il richiamo agli atti di parte nel testo della sentenza, utilizzando, indifferentemente, sia la tecnica del discorso indiretto che quella della citazione, trattandosi di produzioni non qualificabili come opere letterarie e dunque non tutelate dal diritto d’autore.
Tali contenuti riportati in sentenza vengono così fatti propri dal giudice, il quale solo per tale fatto non può essere accusato di aver omesso ogni autonoma valutazione sulle argomentazioni poste a base della propria decisione.
Le Sezioni Unite concludono, quindi, precisando che “quando il giudice, adempiendo il proprio dovere di decidere la controversia, accogliesse l’istanza che ritiene meritevole di tutela (solo o anche) alla stregua delle ragioni esposte dalla parte nei propri scritti difensivi, ove queste ragioni risultassero espresse in modo chiaro ed esaustivo, sarebbe ipocrita chiedere al medesimo giudice di esporre nuovamente con diverse parole le medesime motivazioni che lo hanno convinto a stabilire una determinata regolamentazione degli interessi in conflitto, risultando invece più ragionevole e più “trasparente”, nonché in perfetta linea con un processo giusto, di durata contenuta ed ispirato al principio di effettività, riportare nella motivazione i passi dell’atto di parte condivisi e fatti propri dal giudice, piuttosto che parafrasarli in nome di una “originalità” espositiva priva di qualsivoglia fondamento logico o giuridico.”
4. Corte d’Appello di Milano, sezione specializzata in materia di impresa, sentenza 7 gennaio 2015, n. 29
La responsabilità dell’hosting provider per la pubblicazione di contenuti in violazione del diritto d’autore
Con la sentenza in commento la Corte d’Appello di Milano è intervenuta, in riforma della sentenza di primo grado, sul tema della responsabilità delle piattaforme di condivisione di video, pronunciandosi nella controversia insorta tra Yahoo! ed RTI SpA, da quest’ultima promossa al fine di ottenere la rimozione di propri contenuti postati da utenti dell’hosting provider in violazione della normativa sul diritto d’autore e la condanna di quest’ultimo al risarcimento del danno subito.
I giudici di prime cure avevano riconosciuto la responsabilità di Yahoo! ritenendo che fosse intervenuto un mutamento nella tipologia di servizi offerti dalla piattaforma di condivisione, passando dall’hosting passivo all’hosting attivo.
La Corte d’Appello, al contrario, non ritiene essersi verificata alcuna mutazione nella tipologia di servizi offerti, osservando in particolare come la nozione di hosting attivo non corrisponda alla situazione in cui il prestatore di servizi di “ospitalità in rete” si limiti a mostrare il contenuto come caricato dagli utenti senza effettuare su di esso nessuna ulteriore elaborazione.
Chiarito ciò i giudici conducono una attenta analisi al fine di individuare il momento in cui l’hosting provider, seppure passivo, è tenuto a procedere alla rimozione dalla propria piattaforma dei contenuti lesivi del diritto di autore, valutando se per fare ciò sia sufficiente che il titolare del diritto violato agisca in autotutela, mediante una semplice diffida, oppure in eterotutela, a seguito della pronuncia di una autorità giudiziaria o amministrativa.
La normativa comunitaria in materia di commercio elettronico (Direttiva 2000/31/CE) impone ai legislatori, e di conseguenza ai giudicanti, un contemperamento di esigenze tra la necessità di garantire una libera informazione e comunicazione e quella di tutelare insopprimibili diritti di terzi tra cui deve essere annoverato il diritto d’autore.
Ne consegue che l’hosting provider, non appena ricevuta la notizia dell’illecito commessa dai propri utenti, deve attivarsi per consentire la pronta rimozione delle informazioni illecite o impedire l’accesso ad esse perché è tenuto a quella diligenza che è ragionevole attendersi per individuare e prevenire le attività illecite specificamente denunciate.
Ciò non determina un dovere di vigilanza preventivo e generale, ma impone un obbligo di sorveglianza special-preventivo, relativo a casi di violazione di specifici diritti.
La responsabilità dell’hosting provider è dunque evidente nel caso in cui non abbia ottemperato prontamente ad una richiesta di rimozione di contenuti illeciti, sia essa una diffida o un provvedimento di una autorità amministrativa o giurisdizionale.
È perciò necessaria una specifica richiesta di parte perché l’hosting provider attivi il suo dovere di controllo e rimozione a posteriori.
Per i giudici della Corte d’Appello di Milano, anche alla luce di quanto disposto dalla richiamata disciplina comunitaria, i rimedi in autotutela e quelli di eterotutela sono tra loro strumenti equivalenti ed alternativi.
La diffida, osservano, si offre evidentemente come primario e comune mezzo di reazione per poter attivare il dovere di rimozione dell’hosting provider; tuttavia, perché possa essere considerata efficace e possa far sorgere un diritto alla rimozione di contenuti, deve essere circostanziata: incombe, infatti, sul titolare del diritto da tutelare l’onere della prova e di allegazione del fatto illecito, come in ogni ipotesi di responsabilità aquiliana, e attraverso l’indicazione degli URL e dei link ai contenuti incriminati deve consentire al gestore della piattaforma digitale di individuare prontamente i post illeciti.
[1] La negoziazione assistita non costituisce condizione di procedibilità nelle controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori e nei seguenti casi:
- nei procedimenti per ingiunzione, inclusa la fase di opposizione;
- nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite;
- nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;
- nei procedimenti in camera di consiglio;
- nell’azione civile esercitata nel processo penale.
L’esperimento del procedimento di negoziazione assistita in ogni caso non preclude la concessione di provvedimenti urgenti o cautelari o la trascrizione della domanda giudiziale.
[2] Ipotesi introdotta dal comma 249 della Legge di stabilità 2015 che altresì dispone che “Se le parti, con accordo o nel contratto, prevedono la mediazione presso le associazioni di categoria a cui aderiscono le imprese, la negoziazione assistita esperita si considera comunque valida. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano per l'attivazione dell'azione diretta di cui all'articolo 7-ter del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286”
[3] La convenzione deve essere redatta per iscritto a pena di nullità.
[4] Ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. a) del D.L. 132/2014 il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura non può essere inferiore a un mese e non superiore a tre mesi, con proroga ammessa per ulteriori 30 giorni su accordo delle parti.
[5] Data la sinteticità della disposizione che disciplina tale ipotesi (art. 4, comma 3, D.L. 132/2014) si ritiene che la certificazione del mancato accordo possa consistere anche in una dichiarazione resa in via autonoma dall’avvocato di una sola delle parti coinvolte (in questo senso si veda dosi, “La negoziazione assistita da avvocati”, Torino, 2014).
[6] A tutti coloro che partecipano al procedimento si applicano le disposizioni dell'articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell'articolo 103 del medesimo codice di procedura penale in quanto applicabili.
[7] Questo non nei casi in cui si tratti di una nullità speciale o di protezione e la parte interessata non ha manifestato interesse alla dichiarazione di invalidità del contratto.
[8] Maggiore liquidità della questione per la corte significa che nell’ipotesi di rigetto della domanda, occorre dare priorità alla ragione più evidente e più pronta che conduca ad una decisione indipendentemente dal fatto che essa riguardi il rito o il merito. L’utilizzo di tale criterio viene giustificato da ragioni di economia processuale, poiché la sua applicazione consentirebbe di limitare i tempi del processo, riducendo le tempistiche dell’attività istruttoria e della stesura della motivazione del provvedimento.
[9] Sul punto i giudici delle Sezioni Unite precisano che “L’adozione di una decisione sulla base di una ragione più liquida (la prescrizione del diritto azionato, l’adempimento, la palese non gravità dell’inadempimento, l’eccepita compensazione legale) a fronte di una eventuale complessa istruttoria su una quaestio nullitatis postula che il giudice non abbia in alcun modo scrutinato l’aspetto della validità del contratto, con conseguente inidoneità della pronunci all’effetto di giudicato sulla non-nullità del contratto (alla medesima soluzione si perverrà ove la quaestio nullitatis sia stata oggetto di mera difesa o di semplice eccezione da parte del convenuto, nel qual caso il giudice non avrà nessun obbligo di pronuncia in ordine ad essa, potendo ancora una volta decidere in base alla ragione più liquida, tale obbligo di pronuncia nascendo, di converso, soltanto in presenza di apposita domanda)”.
[10] Cassazione nn. 10033/2007 e 12542/2001
File Allegati
CA-Milano-Sentenza-07012015.pdf
Cass._S.U. 26242.2014.pdf
Cass._S.u. 642.2015.pdf