Unioni Civili, Convivenze di Fatto e Contratti di Convivenza
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Lingua |
Italiano
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Data di pubblicazione |
27/05/2016
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Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 118/2016, anche il nostro ordinamento si è dotato di una legislazione diretta a regolamentare sia le unioni omosessuali che le convivenze di fatto.
Il provvedimento (Legge 20 maggio 2016, n.76), che entrerà in vigore il 5 giugno 2016 e per la cui corretta operatività sarà necessaria l’emanazione di alcuni provvedimenti attuativi da parte dell’esecutivo, determina una pressoché parificazione nei diritti tra unioni civili e matrimonio.
La volontà di attuare tale parificazione è evidente sin dai primi commi del provvedimento legislativo.
Le UNIONI CIVILI, infatti, vengono annoverate, proprio come il matrimonio, tra le formazioni sociali di cui agli articoli 2 e 3 della Costituzione. La loro costituzione è riservata alle persone maggiorenni dello stesso sesso e si perfeziona attraverso una dichiarazione da rendere davanti all’ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni.
Con la costituzione dell’unione, ciascuna delle parti acquista gli stessi diritti ed assume i medesimi doveri.
La legge 76/2016, in particolare, riconosce alle coppie che scelgono lo strumento dell’unione civile i seguenti specifici diritti:
- la possibilità di scegliere un cognome comune ad entrambi i partners
- il diritto di ottenere, in caso di morte di una delle parti, la pensione di reversibilità, l’indennità di mancato preavviso ex art. 2118 c.c. ed il TFR (art. 2120 c.c.)
- il diritto a ricevere gli alimenti qualora ci si trovi in stato di bisogno successivamente allo scioglimento dell’unione
- diritto alla quota di legittima, nella misura prevista per il coniuge, nelle successioni
Parallelamente al riconoscimento di tali diritti, la legge impone alle parti di osservare i seguenti obblighi, anch’essi mutuati, con ogni evidenza, dall’istituto del matrimonio:
- fornire assistenza morale e materiale
- contribuire ai bisogni comuni in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo
- la coabitazione
La previsione di diritti e doveri come appena elencati comporta che anche i partners, come i coniugi, abbiano l’obbligo concordare tra loro l’indirizzo della vita familiare, indirizzo che può essere attuato da ciascuno di essi singolarmente, e debbano stabilire la residenza in comune.
A differenza di quanto previsto per il matrimonio, il legislatore ha scelto, invece, di non vincolare le parti dell’unione civile all’obbligo della fedeltà.
Il regime patrimoniale dell’unione, in assenza di diversa scelta delle parti, è quello della comunione dei beni.
La legge prevede poi che l’unione possa sciogliersi al verificarsi di uno dei seguenti casi:
- morte di una delle parti
- dichiarazione di morte presunta
- condanna di una delle parti ad una pena detentiva per uno dei delitti di cui all’articolo 3 della legge sul divorzio ed in tutti gli altri casi in cui questo è ammesso, fatta eccezione per l’ipotesi di mancata consumazione dell’unione
- manifestazione di volontà, espressa anche disgiuntamente, dinanzi all’ufficiale di stato civile di voler sciogliere l’unione (in tale ipotesi la domanda di scioglimento può essere proposta trascorsi 3 mesi dalla manifestazione della volontà di porre fine all’unione)
Per quanto riguarda le modalità di scioglimento, si ricorre al procedimento di divorzio o di negoziazione assistita da avvocati, già previsto per i matrimoni, anche se per le unioni civili il legislatore non ha ritenuto necessaria la fase della separazione.
Resta, pertanto, necessaria l’assistenza di un legale in tutti quei casi in cui lo scioglimento non possa avvenire con richiesta congiunta innanzi l’ufficiale di stato civile e, precisamente, nei casi in cui l’accordo tra le parti contenga patti di trasferimento patrimoniale.
La normativa in materia di unioni civili prevede, infine, una disposizione di chiusura con la quale si è cercato di raggiungere una equiparazione il più possibile effettiva con l’istituto del matrimonio: le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti la parola “coniuge” o “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti, negli atti amministrativi o nei CCNL, si applicano anche alle parti delle Unioni Civili.
Tale equiparazione, però, è stata, mitigata con riferimento alle adozioni, in quanto la disposizione di chiusura non si applica, per richiamo espresso, alla legge 184/1983 disciplinante proprio le adozioni.
L’altro istituto introdotto con la legge 76/2016 è quello delle CONVIVENZE DI FATTO.
Per conviventi di fatto si intendono due persone maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
La stabile convivenza viene accertata tramite la dichiarazione anagrafica di nuova famiglia o nuova convivenza, resa da una delle parti all’anagrafe della popolazione residente.
I conviventi, oltre ad avere i medesimi diritti che l’ordinamento penitenziario riconosce ai coniugi, prevede che essi:
- in caso di malattia abbiano diritto reciproco di visita, di assistenza, di accesso alle informazioni come per i coniugi o i familiari
- possano designare, in forma scritta e autografa o, in caso di impossibilità, alla presenza di un testimone, l’altro convivente come rappresentate con poteri pieni o limitati
a) in caso di malattia che comporti incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute
b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funebri
Nell’ipotesi di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente superstite ha diritto di continuare ad abitarvi per almeno 2 anni o per un periodo pari alla convivenza, se superiore, ma comunque per non più di cinque anni. Nel caso in cui il superstite vi abiti insieme a figli minori o disabili, il tempo di permanenza minimo non può essere inferiore a tre anni.
Il diritto alla permanenza nell’immobile del convivente superstite viene meno quando egli cessi di abitare nella casa o concluda una unione civile, contragga matrimonio o instauri una nuova convivenza di fatto.
Qualora, invece, il coniuge deceduto fosse conduttore dell’immobile di residenza comune, il superstite avrà diritto di succedere nel contratto di locazione.
Sempre nell’ipotesi di decesso di uno dei conviventi, qualora la morte sia derivata da fatto illecito di un terzo, nell’individuazione del danno risarcibile al superstite si applicano i medesimi criteri utilizzati per i coniugi.
La convivenza di fatto può inoltre costituire titolo o causa di preferenza nell’assegnazione di alloggi di edilizia popolare in tutte le ipotesi in cui l’appartenenza ad un nucleo familiare garantisca tale tipo di vantaggi.
L’apporto del convivente viene riconosciuto anche nell’ambito delle imprese familiari: alla parte che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente, spetta una partecipazione agli utili, ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Tale diritto non sussiste quando tra i conviventi vi sia un rapporto di società o di lavoro subordinato.
In caso di interdizione, inabilitazione o sottoposizione ad amministratore di sostegno, l’altro convivente può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno.
Il legislatore si è occupato anche di stabilire che alla cessazione della convivenza di fatto possa essere riconosciuto alla parte che versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, il diritto di ricevere gli alimenti. Qualora ricorrano i presupposti, l’assegno è concesso, a seguito di domanda giudiziale, per un periodo proporzionato alla durata della convivenza.
Quanto ai rapporti patrimoniali tra i conviventi, è prevista la possibilità di regolamentarli attraverso lo strumento del CONTRATTO DI CONVIVENZA.
Per essere pienamente validi ed efficaci, i contratti di convivenza devono essere redatti per iscritto, nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata.
Non è necessario, tuttavia, recarsi da un notaio: tali contratti, infatti, possono essere autenticati anche da un avvocato il quale dovrà attestare la conformità dell’accordo alle norme imperative all’ordine pubblico.
Copia autentica del contratto deve essere trasmessa dal professionista che lo riceve, nel termine di 10 giorni dalla sua sottoscrizione, al comune di residenza delle parti per le necessarie annotazioni.
Con lo strumento del contratto, i conviventi possono disciplinare i seguenti aspetti:
a) la residenza
b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alle capacità di lavoro professionale o casalingo
c) la scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni
Il contratto di convivenza non può prevedere un termine né può essere sottoposto a condizione. In caso di indicazione di un termine o di previsione di una condizione, tali elementi si considereranno come non apposti.
Determinano la nullità insanabile del contratto:
a) il matrimonio, l’unione civile o un’altra convivenza
b) la violazione di uno degli elementi caratterizzanti la convivenza di fatto
c) la minore età o la interdizione di una o di entrambe le parti
d) la condanna per omicidio tentato o consumato del coniuge di uno dei conviventi
In caso di morte di uno dei conviventi, è onere del superstite o degli eredi notificare al professionista che ha ricevuto il contratto l’estratto dell’atto di morte, affinché provveda all’annotazione della circostanza a margine del contratto e faccia la necessaria trasmissione all’anagrafe di comune di residenza.
L’introduzione del contratto di convivenza ha comportato un intervento del legislatore anche nel diritto internazionale privato: al contratto che abbia elementi di internazionalità, si applica la legge del luogo ove la convivenza è prevalentemente localizzata. Sono in ogni caso fatte salve le norme nazionali, internazionali o europee che regolano il caso di plurima cittadinanza.
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