Aggiornamento Normativo e Giurisprudenziale 25/2013
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Lingua |
Italiano
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Data di pubblicazione |
10/10/2013
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AGGIORNAMENTO NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE 25/2013
SOMMARIO
1. Istruzioni operative per il deposito telematico degli atti.
2. Soppressione dei Tribunali: sedi per cui è stata prevista la proroga.
3. Inefficacia degli atti compiuti successivamente alla pubblicazione della domanda di concordato, seguita dalla dichiarazione di fallimento.
4. Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 25 settembre 2013, n. 21910
RAPPRESENTANZA SINDACALE E COMUNICAZIONE DI AVVIO DELLA PROCEDURA DI MOBILITA’
5. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 22 luglio 2013, n. 17781
INTERRUZIONE DEL TERMINE DECANZIALE PER PROPORRE LA DOMANDA DI EQUA RIPARAZIONE PER IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO E ISTANZA DI MEDIAZIONE
1. Istruzioni operative per il deposito telematico degli atti.
Dal giorno 1° ottobre 2013, presso il Tribunale Civile di Roma, è possibile procedere al deposito telematico delle memorie ex art. 183, co. 6, nn. 1, 2 e 3 c.p.c., della comparsa conclusionale e delle memorie di replica ex art. 190 c.p.c.
Il Tribunale ed il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma hanno predisposto delle istruzioni operative al fine di agevolare la procedura di deposito.
Le istruzioni sono consultabili al seguente link:
http://192.168.4.103/Files/Istruzioni_deposito_telematico.pdf
Il deposito telematico sostituirà integralmente il deposito delle copie cartacee nonché i relativi timbri “depositato”.
La visione degli atti e dei documenti depositati telematicamente potrà avvenire unicamente on line attraverso la consultazione telematica dei registri di cancelleria. Il personale degli uffici non provvederà ad alcuna attività di stampa degli atti e dei documenti depositati a mezzo internet, ma annoterà semplicemente sul fascicolo d’ufficio l’adempimento.
2. Soppressione dei Tribunali: sedi per cui è stata prevista la proroga.
Con il D.Lg. 155 del 2012 è stato stabilito che 30 tribunali, 30 procure, tutte le 220 sezioni distaccate esistenti e 667 sedi di giudice di pace venissero soppresse a far data dal 13 settembre 2013.
Le sedi di tribunali e procure soppresse sono:
- Acqui Terme
- Alba
- Araiano Irpino
- Avezzano
- Bassano del Grappa
- Camerino
- Casale Monferrato
- Chiavari
- Crema
- Lanciano
- Lucera
- Melfi
- Mistretta
- Modica
- Mondovì
- Montepulciano
- Nicosia
- Orvieto
- Pinerolo
- Rossano
- Sala Consilina
- Saluzzo
- Sanremo
- Sant’Angelo dei Lombardi
- Sulmona
- Tolmezzo
- Tortona
- Urbino
- Vasto
- Vigevano
- Voghera
Nonostante tale previsione, però, il Ministro della Giustizia, con 42 differenti decreti, ha disposto che l’attività di alcuni degli uffici giudiziari soppressi fosse prorogata al fine di smaltire il contenzioso pendente.
Le proroghe disposte sono le seguenti:
- sei mesi di proroga ai tribunali di Vigevano e Voghera, alla procura di Voghera e alla sede distaccata di Abbiategrasso;
- dieci mesi al tribunale di Pinerolo e alle sezioni distaccate di Moncalieri e Susa;
- un anno alla procura di Pinerolo e alle sezioni distaccate di Ischia, Marano di Napoli e Casoria;
- due di proroga alla sezione distaccata di Terracina e alla sezione distaccata di Tortona;
- tre anni al tribunale di Casale Monferrato e alle sezioni distaccate del tribunale di Velletri (Albano Laziale, Anzio e Frascati);
- tre anni e mezzo alle sezioni soppresse di Mondovì e Saluzzo;
- cinque anni alla sezione distaccata di Aqui Terme nonché al tribunale e alla procura di Lucera.
3. Inefficacia degli atti compiuti successivamente alla pubblicazione della domanda di concordato, seguita dalla dichiarazione di fallimento.
Con le modifiche apportate di recente alla legge fallimentare, ed in particolare alla disciplina del concordato preventivo, a giudizio di alcuni commentatori[1], si è creata una disciplina, quanto meno illogica, con riferimento agli atti posti in essere successivamente alla proposizione della domanda di concordato preventivo, anche “in bianco”, cui sia poi seguito, comunque, il fallimento.
Sebbene l’art. 67, alla lettera e), stabilisca che tutti gli atti legalmente[2] posti in essere in esecuzione di un concordato preventivo non siano sottoposti a revocatoria, il legislatore nel disciplinare la eventuale successione tra concordato e dichiarazione di fallimento, finisce per attribuire agli atti eventualmente effettuati successivamente alla proposizione della domanda di concordato, che siano di ordinaria amministrazione non coerenti o di straordinaria amministrazione e non autorizzati, la sanzione della inefficacia.
L’art. 69 bis L.F., infatti, stabilisce che nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini dai quali computare il periodo sospetto ai fini della revocatoria decorrono proprio dalla presentazione della domanda di concordato con la conseguenza che, gli atti eseguiti successivamente a tale data, subiscono il medesimo trattamento di quelli effettuati successivamente alla dichiarazione di fallimento.
A norma dell’art. 44 L.F. gli atti compiuti dal fallito ed i pagamenti effettuati successivamente alla dichiarazione di fallimento sono inefficaci.
Pertanto questa dovrebbe essere la sorte degli atti e dei pagamenti posti in essere in esecuzione di un concordato preventivo cui sia seguito il fallimento.
Va in ogni caso tenuto a mente che, però, in simili ipotesi la sanzione dell’inefficacia può essere applicata solo agli atti non autorizzati o di ordinaria amministrazione non coerenti successivi alla presentazione della domanda di concordato, mentre per gli atti posti in essere anteriormente a tale momento rimane salva la possibilità di ricorrere alla revocatoria fallimentare.
L’inefficacia di cui trattasi, va precisato, ha una portata differente rispetto a quella che consegue ad una azione revocatoria: essa, infatti, opera di diritto e non richiede nel creditore la scentia decoctionis, né è sottoposta ad alcun limite temporale per decadenze o prescrizioni.
4. Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 25 settembre 2013, n. 21910
RAPPRESENTANZA SINDACALE E COMUNICAZIONE DI AVVIO DELLA PROCEDURA DI MOBILITA’
Con la pronuncia in commento i giudici di legittimità si pronunciano sul tema della necessità che la comunicazione di avvio della procedura di mobilità sia inviata a tutte le sigle sindacali presenti nell’unità produttiva o sia sufficiente che la consultazione avvenga anche solo con le RSU.
La Corte nella sua analisi rileva come la selezione delle rappresentanze sindacali demandate ad occuparsi della contrattazione in azienda, operata dallo statuto dei lavoratori, sia stata superata dalla disciplina sulle rappresentanze sindacali unitarie di cui al Protocollo di intesa trilaterale tra Governo, Confindustria e Sindacato concluso il 23 luglio 1993, regolato dall’accordo del 20 dicembre del medesimo anno, con il quale veniva stabilito che le RSU subentrassero alle RSA nella titolarità dei diritti, dei permessi e delle libertà sindacali, nonché nell’esercizio e nella titolarità delle funzioni ad esse attribuite dalla legge.
Nella pronuncia viene inoltre osservato come l’esito del referendum abrogativo del 1995, nell’intervenire sul testo dell’art. 19 dello statuto dei lavoratori, elidendo alla lettera b) le parole provinciali e nazionali, altro non abbia fatto se non ampliare il novero dei soggetti che possano dirsi legittimati ad esercitare la prerogativa della rappresentanza aziendale nelle diverse unità produttive.
Ciò ha comportato che la rappresentanza utile per l’acquisto dei diritti sindacali in azienda sia determinata dalla effettiva attuazione all’interno della stessa dell’azione sindacale, potendosi questa estrinsecare nella stipula di un contratto collettivo, sia esso nazionale, provinciale o aziendale.
Sul punto anche la Corte Costituzionale[3] ha precisato che la rappresentatività sindacale va valutata facendo un’applicazione rigorosa del disposto dell’art. 19 dello statuto dei lavoratori, avendo riguardo della capacità dell’organizzazione di imporsi nei confronti del datore di lavoro: si ritiene infatti che a tali fini non sia sufficiente l’adesione della organizzazione sindacale ad un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre che vi sia stata una effettiva partecipazione alla fase di negoziazione del contratto, essendo necessario che l’organizzazione sindacale interessata abbia quantomeno preso parte alla negoziazione di “un contratto normativo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina, anche in via integrativa, a livello aziendale, di un contratto nazionale o provinciale già applicato alla stessa unità produttiva”.
In conseguenza dell’applicazione dei principi illustrati, la Cassazione si è, quindi, pronunciata a favore della possibilità che la comunicazione di avvio della procedura di mobilità sia inviata a sindacati non aventi rilevanza nazionale, presenti nell’unità produttiva per mezzo delle RSU., ben potendo tali rappresentanze essere costituite da organizzazioni non a rilevanza nazionale, che siano tuttavia radicate in una determinata area geografica ed abbiano sottoscritto almeno un accordo collettivo applicato all’unità produttiva interessata.
5. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 22 luglio 2013, n. 17781
INTERRUZIONE DEL TERMINE DECANZIALE PER PROPORRE LA DOMANDA DI EQUA RIPARAZIONE PER IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO E ISTANZA DI MEDIAZIONE
Nella sentenza che si segnala le Sezioni Unite intervengono sul tema della esperibilità del procedimento di mediazione con riferimento ai procedimenti volti ad ottenere l’equa riparazione per irragionevole durata del processo e sul tema della possibilità che il termine decandenziale per promuovere tale domanda possa essere interrotto dall’istanza introduttiva proprio della procedura di mediazione.
La Corte ha preliminarmente affrontato il problema della natura del termine di sei mesi entro il quale, a norma dell’art. 4 della legge 89 del 2012 (Legge sull’equa riparazione) può essere proposta l’azione di equa riparazione da ritardo irragionevole del processo.
Tale termine di proponibilità, che inizia a decorrere da quando la decisione che chiude il procedimento eccessivamente lungo è divenuta definitiva, è stato previsto dal legislatore a pena di decadenza ed ha natura processuale: ciò comporta che il periodo di sei mesi, oltre il quale l’azione deve ritenersi preclusa, va computato tenendo conto anche del periodo di sospensione feriale , come accade per analoghi termini processuali.
Quanto alla pretesa inapplicabilità della procedura di mediazione, valida solo con riferimento ai diritti disponibili, ai procedimenti di cui alla legge 89/2001 per avere questa ad oggetto il diritto indisponibile alla ragionevole durata del processo, la Corte ha osservato come, in realtà, quello riconosciuto dalla legge Pinto sia un diritto patrimoniale e disponibile, essendo il procedimento in essa disciplinato volto a riconoscere una indennità economica per la violazione del diritto indisponibile alla ragionevole durata del processo.
La Cassazione, infatti, ha sempre ritenuto che il diritto disponibile al risarcimento del danno fosse distinto dal diritto ingiustamente leso la cui violazione è alla base della pretesa risarcitoria: la reintegrazione patrimoniale delle perdite subite da una lesione o per la violazione di un diritto fondamentale e indisponibile può, dunque, senza dubbio essere assoggettata alla mediazione.
Il dritto ad un processo giusto ed alla sua ragionevole durata, infatti, è un diritto indisponibile diverso da quello alla riparazione monetaria della sua violazione, configurandosi questa come una pretesa risarcitoria e certamente disponibile.
Pertanto accertato che le controversie in materia di equa riparazione hanno ad oggetto diritti patrimoniali e disponibili, ad esse, può legittimamente applicarsi la disciplina sulla mediazione che, al sesto comma dell’art. 5, prevede la parificazione, ai fini della prescrizione, tra domanda di mediazione per la conciliazione del diritto controverso e domanda giudiziale, stabilendo che anche l’istanza di mediazione produce l’effetto di interrompere la prescrizione del diritto che si intende azionare.
L’istanza di mediazione presentata nei sei mesi di proponibilità della domanda di equa riparazione impedisce, dunque, la decadenza del diritto di agire giudizialmente, consentendo, in caso di fallimento della procedura conciliativa, la proposizione della domanda giudiziale nel termine di ulteriori sei mesi decorrenti dal deposito del verbale negativo di conciliazione presso la segreteria dell’organismo di mediazione incaricato della procedura.
[1] REBECCA, “Il Concordato «in bianco» scivola sulla revocatoria”, ne Il Sole 24ORE del 8 ottobre 2013
[2] Per atti legalmente posti in essere si intendono gli atti di ordinaria amministrazione e quelli di straordinaria amministrazione urgenti e autorizzati.
[3] Corte Costituzionale 4 dicembre 1995, n. 492 e Corte Costituzionale, 12 luglio 1996, n. 244